giovedì 10 gennaio 2008

Gianni ATZENI

Istantanee sulla gestualità musicale attraverso una testimonianza diretta


Non so perché, eppure guardando questa serie di Impressioni su tele di Gianni Atzeni, mi torna alla mente un pensiero di Giuseppe Dessì, uno di quei suoi disvelamenti intellettuali così intrisi di terrestrità inconscia. A proposito dei motivi ancestrali che fioriscono i tappeti sardi, il nostro scrittore allude ai “segni misteriosi sempre sul punto di diventare alfabeto”. E continua, in un’esplorazione trasognata dell’inconscio isolano, notando come l’alfabeto sia direttamente in rapporto col senso dello spazio, e impensabile senza di esso; e come la scritture compiuta sia mancata ai sardi proprio per la loro dimestichezza colla esperienza dello spazio per eccellenza: il mare.
E già. Perché il mare è l’inconscio. E la scrittura e la navigazione dell’inconscio. I sardi si sarebbero solo affacciati, grazie all’intuito delle loro donne, sull’orizzonte della scrittura; e lì si sarebbero fermati, come impauriti.
Sappiamo bene quanto dentro ogni artista si annidi una femminilità latente ma assai reattiva.
In più, e di più scientifico, in
Gianni Atzeni, c’è la passione per la cultura musicale, il gusto in specie della musica corale. Cosi egli è partito da un ipotetico spunto dialogico fra le arti visive e il canto corale. Come si è realizzato tutto ciò sul piano operativo? Assimilando il gesto del pittore al gesto del direttore d’orchestra. Inseguendo la velocità del gesto del direttore la velocità del gesto e suggerendo la sua ripercorrenza visiva.
Naturalmente così nel canto ci sono i timbri e i colori della voce, allo stesso modo nella sua pittura musicale c’è la Klangfarbe, ossia il colore del suono o meglio, qui, il suono del colore.
Egli ha lavorato perlopiù su due colori: armonizzando i toni, tentando tutte le gamme cromatiche. Il piacere della polifonia.
Ne sono risultate talvolta magiche figure ambivalenti. Suggestioni ottiche, ideogrammi lirici. Il fondo – come era ovvio – è dominante: il rapporto colle figure è ambiguo, ora assorbente ora emergente. Fino ad arrivare alla soglia quasi proibita della tridimensionalità, alla scultoricità.
Dunque, ricapitoliamo: due dominanti, tre passaggi. Il contrasto dialogico tra due colori e simultaneamente tra figura e fondo; lo sviluppo del gesto, dalla fase dell’embrione o del segno disperso all’aggregazione molecolare e infine all’ideogramma formato.
Godiamocele – dunque – queste coerenti, meditate impressioni su tele (ma con i rulli; non sono monotipi) assieme alle conformi incisioni che le affiancano.
Ripensando magari all’alfabeto in nuce, inconsciamente sardo o meno; alla musicalità del segno e del colore, alla spazialità – raccolta nel gesto – dell’infinito universo e mondi.
Presentazione in catalogo
Leandro Muoni